- Perché l'uomo schiavizza l'uomo?, in "Specie Prepotente" di A. Cantaluppi, prefazione di C. Colognese, pp. 171-173, Puntostampa, Roma 2015.
Una mattina i miei due cani, un maschio e
una femmina tra le razze più docili e di aspetto dolcissimo, ci
portarono un cucciolo di volpe che avevano ammazzato quella notte.
Non l'avevano mangiata, né dilaniata, solo
uccisa. Era bellissima.
Quella mattina loro due erano, a tratti,
sonnacchiosi e giocherelloni come al solito. Io, piuttosto, per
qualche giorno ho faticato a sentirli e a trattarli come sempre. Non
riuscivo ad accettare la legge entro cui si inscrivono fatti come
questo e, da dentro la mia natura umana, non riuscivo a perdonarli.
L'altra notte un animale grida nel bosco,
sento uno strepitare di versi di rapaci notturni e poi, con la
rapidità di una stilettata, il silenzio.
E' così, la morte sopraggiunge sempre,
continuamente.
Fin qui mi muovo con la mente.
Quando dico non riesco ad accettare, però,
non intendo razionalmente.
Spiegarsi le cose per tale via è semplice
e anche, tutto sommato, veloce: è la legge di natura. E' così. Si è
dovuto trovare un modo per risolvere almeno due questioni: nutrire e
mantenere un equilibrio numerico per non sovraffollare il pianeta. Il
gioco, la caccia, come per i miei cani, sono in funzione di questo.
Se devo sentire questo fatto, però, è
molto diverso. Nel sentire, inevitabilmente, mi calo dentro la mia
storia incarnata di eventi, ferite, morsi di cane, brandelli di carne
e da lì accettare è molto diverso.
Fame, territorio, gioco, caccia. E noi,
cani e volpi al contempo?
Credo che trasformazioni siano possibili
nelle tratte degli schiavi, nelle guerre, ovunque ci sia
sopraffazione nel pianeta (anche in ufficio) se ci poniamo interi a
sentire
la volpe e il cane, i cani.
Senza pregiudizio. Non ha ragione la volpe
ed il cane è assassino.
Senza scordare che la volpe ammazza le
galline.
Ugualmente nella carne dell'uno e
dell'altro, nelle posizioni dell'uno e dell'altro, nei sentimenti di
entrambi.
La realtà allora può manifestarsi
diversamente.
Se sono volpe, vittima, debole, sento
innanzitutto la violenza su di me e la paura, anche mortale (allora
le parole 'violenza', 'paura', paura 'mortale' che avete appena
letto, vanno lette rallentate, va fatto uno spazio per il cuore,
vanno capite e sentite, e magari sentite collegandole a nostre
esperienze).
Se sono cane sento l'adrenalina, l'attacco,
il senso di forza, la potenza, il successo della lotta. Posso voler
provare questa sensazione di forza, sicurezza controllo, dominio e
finanche giustizia (“ordine è fatto”) sempre, il più spesso
possibile.
Qualcuno non è in
grado di ascoltare le proprie voci diverse, segregate, in difficoltà,
le proprie angosce: non le può proprio raccogliere.
A volte queste sono
mute e allora egli si convince di essere il monarca (e solo
lo diventa davvero), capo forte, duro e spietato: le sue voci
diverse, le sue difficoltà e angosce le posiziona
fuori su
ogni altro che possa essere come lui.
Fa
tutto questo e non
lo sa. Le
parti fragili ora sono sganciate, dimenticate e in questo modo
calpestate e mortificate dentro, calpestabili e mortificabili fuori.
Siamo
animali proiettivi, beffati da questo funzionamento. Ripetiamo fuori
quello che continua ad accadere dentro.
E
tutto allora assume questo sapore all'esterno dove si estende questa
landa spietata, perché cieca. Qui vive il sadismo.
Penso
all'invisibile fiume di colpa e di solitudine laggiù da qualche
inaccessibile parte, laddove in qualche modo il sadico, l'oppressore,
lo schiavista, lo sfruttatore, il violento sente (senza saperlo) che
questo lo sta facendo a sé, soprattutto che questo fa male. Milioni
di vite agiscono così e terminano così.
Se poi agire così mi
garantisce identità, individuale e culturale, perché i miei pari mi
riconoscono se faccio questo e fanno altrettanto, allora sopraffare
diventa necessario.
Allora
ti unisci e ritrovi con altri che stanno facendo la stessa cosa,
cosicché questa sembra la realtà, e soprattutto l'unica realtà
possibile. Il piedistallo del potere, la storia immaginabile dentro
il potente, la muta storia che si scambiano i potenti.
Con
questa base poi si iniziano a costruire discorsi, miti, storia,
ideologie, a volte fedi. C'è chi ha ragione e chi sbaglia, chi è
perfetto e chi misero, chi pulito, chi sporco. Tutto questo da
millenni e, in un certo senso, per sempre.
Quando la volpe
braccata da un cane è un uomo o una donna, assistiamo a qualcosa
in più (ma possiamo escludere che posizioni 'individuali' siano
anche nel regno animale dei predati?).
Si crea una dinamica in cui implicito è
l'accordo su come debbano andare le cose: “Tu sei il vincitore, io
il vinto ed è giusto sia così perché”... largo alle colpe
personali, alle eredità transgenerazionali, ai traumi, alle
vattelapesca. Tu mi sfrutti e fai bene, tu mi schiacci e hai ragione,
mi ferisci ed è giusto.
O assistiamo allo sfruttato che accetta
questa posizione e poi si gira e schiaccia chi è un passo sotto di
lui.
Anche qui identificazioni, proiezioni,
confusioni. Dolore psichico.
Uomo e donna, tutti emersi da un'epoca
remota della nostra infanzia in cui, come il monaco bambino di
Primavera, estate, autunno,
inverno e poi ancora primavera (Kim
Ki-duk, 2003), infiliamo
(o fantastichiamo di farlo) un sasso in bocca ad un pesce che muore
affondando e ridiamo grandiosi.
In quel
tempo facciamo esperienza col togliere la vita perché darla non è
possibile. Possiamo tuttalpiù partecipare al mistero della nascita
continua, da spettatori davanti a un fiorellino che si dischiude.
Se
emergiamo da lì, accompagnati se abbiamo fortuna in quel momento da
un adulto, sostenendo la colpa ed il lutto per la sofferenza data,
attraversiamo il nostro sadismo ed il nostro dolore che è il dolore
del pesce colato agonizzante al fondo dello stagno.
Tutti
possiamo uccidere, non tutti possiamo far nascere. Ma se è vero che
tutti possiamo togliere la vita, è anche vero che possiamo darla e
ridarla a noi stessi a livello psichico: da
dentro. Solo
da lì si può sentire che non si regge più e di lì si sceglie di
accogliere l'altro, cioè parti di noi.
Questa è
una scoperta che può trasformare la pratica dell'odio interno ed
altrui in amore.
Perché
non trovo altro nome per questa capacità umana.
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